di Antonio Maglietta - 1 settembre 2007
Il Consiglio dei ministri del 30 agosto scorso ha autorizzato il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, Luigi Nicolais, ad esprimere il parere favorevole del Governo sull'ipotesi di contratto collettivo nazionale di lavoro del personale del comparto Ministeri (quadriennio normativo 2006-2009, biennio economico 2006-2007). E' bene ricordare che, nel luglio scorso, l'atto in questione è entrato nel mirino di vari parlamentari, di maggioranza e opposizione, capeggiati da Simone Baldelli (Forza Italia) e Lanfranco Turci (Rosa nel Pugno), perché, a loro avviso, era stata prevista una sanzione disciplinare più leggera, rispetto al passato, contro gli assenteisti. Infatti, se con il precedente CCNL, sottoscritto sotto il governo Berlusconi, si poteva irrogare, almeno in teoria, una sanzione dura come il licenziamento, ora, invece, sarebbe possibile solo la sospensione dal servizio dagli 11 giorni ai 6 mesi. I parlamentari avevano anche promosso una lettera aperta al Governo affinché ponesse un veto su quel punto contestato. La reazione non si era fatta attendere, e sia il Ministro Nicolais, che il presidente dell'Aran, Massimo Masella Ducci Teri, avevano risposto, a mezzo stampa, che la nuova sanzione disciplinare, più soft rispetto al passato, si era resa necessaria perché il licenziamento dei dipendenti pubblici assenteisti (nel caso della falsificazione o manomissione dei cartellini marcatempo) era diventato praticamente impossibile a causa di alcune sentenze della Corte di Cassazione.
In generale la materia delle sanzioni disciplinari nel pubblico impiego è demandata dalla legge alla contrattazione collettiva. Infatti, l'art. 55, comma 3, del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165 dispone che: «Salvo quanto previsto dagli articoli 21 e 53, comma 1, e ferma restando la definizione dei doveri del dipendente ad opera dei codici di comportamento di cui all'articolo 54, la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi». E' tutta in queste poche righe la differenza sostanziale tra lavoro pubblico e privato sul tema delle sanzioni disciplinari (l'altra differenza è di tipo procedurale e per il pubblico la materia è regolata dall'art. 7 dello Statuto dei Lavoratori). Infatti, nel settore privato, a differenza del pubblico, le disposizioni di cui agli artt. 2119 del Codice Civile (Recesso per giusta causa - «Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità indicata nel secondo comma dell'articolo precedente. Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento dell'imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell'azienda». Approfondimento: cosa è la giusta causa? La giusta causa è un inadempimento del lavoratore talmente grave da non consentire, anche in via provvisoria, la prosecuzione del rapporto di lavoro. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha specificato che la giusta causa si sostanzia in un inadempimento talmente grave che qualsiasi altra sanzione diversa dal licenziamento risulti insufficiente a tutelare l'interesse del datore di lavoro (Cass. 24/7/03, n. 11516), al quale non può pertanto essere imposto l'utilizzo del lavoratore in un'altra posizione - Cass. 19/1/1989, n. 244 -.) e 3 della legge n. 604/66 (Norme sui licenziamenti individuali - «Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso é determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa») mantengano la loro piena operatività quali dirette fonti del potere datoriale di procedere al licenziamento per motivi disciplinari.
Insomma, è più facile licenziare un dipendente del settore privato (peraltro esposto alla concorrenza nel mercato) che uno del pubblico. Bisogna anche sottolineare, inoltre, che affidare le sanzioni disciplinari alla contrattazione collettiva significa anche gettare la materia nelle braccia della concertazione sindacale; se poi aggiungiamo che il settore pubblico è il luogo più sindacalizzato del mondo del lavoro per eccellenza (e dove quindi il sindacato è più forte, dal punto di vista del potere contrattuale), diventa legittimo pensare che una svolta rigorista potrebbe rimanere ancora a lungo nel cassetto dei sogni.
Non sarebbe meglio abrogare la norma di privilegio del settore pubblico (l'art. 55, comma 3, del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165) ed affidare la materia alla decretazione ministeriale e quindi direttamente al potere esecutivo, così da far terminare le continue litanie governative all'insegna del «vorrei ma non posso»? Ci guadagnerebbero tutti, compresi i tanti impiegati pubblici che lavorano sodo, i cittadini contribuenti e le imprese.
sabato 1 settembre 2007
Sospensione per gli assenteisti: la svolta lassista
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