mercoledì 13 giugno 2007

Sinistra senza voce


di Gianni Baget Bozzo - tratto da Il Giornale del 12 giugno 2007
Fausto Bertinotti è stato un maestro del linguaggio politico. Ha potuto seguire il passaggio da una sinistra guidata dalla memoria del Pci e la sua trasformazione in due posizioni definite: quella del partito radicale di massa da parte dei diessini e quella dell'antagonismo dei movimenti da parte di Rifondazione. Il partito postcomunista ha tentato di assumere formalmente il linguaggio socialdemocratico ma, non avendo fatto a suo tempo quella scelta ed anzi avendola osteggiata, si trova in un vuoto di linguaggio.

L'unica via in cui un partito socialdemocratico può uscire dalla socialdemocrazia è quella tentata in Spagna da Zapatero, che si è posto come promotore della società che rompeva con la Chiesa e con la stessa concezione della Spagna come nazione unitaria, legata all'identità cattolica della corona castigliana. Zapatero ha agito su due fronti: da un lato, assumendo una posizione radicale contro la concezione cattolica della famiglia, è giunto sino ad abolire il concetto di famiglia. Dall'altro lato ha cercato di dare uno spazio ai catalanisti concedendo di definire, nel loro statuto regionale, la Catalogna come Nazione, quindi come un potenziale Stato. Ha messo cioè le condizioni per cui domani legittimamente Barcellona chiederà di poter essere capitale dello Stato indipendente. Ci sarà così l'unità della Spagna ed esisteranno due diverse Spagne.

Per ridefinire la sinistra dopo la fine del modello socialdemocratico, Zapatero ha inventato la via che potremmo chiamare «radicale» con riferimento al termine «radicale» della politica italiana e, prima ancora, di quella francese. Cioè un partito laicista. Il Pci non era stato laicista, era un partito intrinsecamente concordatario. Ha fatto inserire nella protezione costituzionale i Patti Lateranensi, ha messo la sua firma alla revisione del Concordato. Vi è ancora nel partito postcomunista una eredità di Togliatti e Berlinguer nel compromesso reale con la Chiesa cattolica in Italia. Con ciò i postcomunisti si trovano privi di quel messaggio politico che solo può valere come messaggio dopo la fine della socialdemocrazia, cioè il modello laicista. Non è detto che il modello laicista funzioni, nemmeno in Spagna. Un colpo gravissimo ha inferto al governo socialista la decisione dell'Eta, la mano armata del terrorismo basco, di chiudere il tempo di tregua degli attentati e di riprenderli. Se fosse riuscita la pace con l'Eta, il modello di frammentazione della Spagna che era la chiave del laicismo socialista avrebbe avuto successo. Perché il prezzo della pace era quello di creare nel Paese basco una via come quella catalana, riconoscendo alla Nazione basca il diritto a essere Stato. Zapatero è obbligato a richiedere la collaborazione del Partito Popolare che la rifiuta, poiché il governo ha permesso la confluenza di voti indipendentisti in un partito, l'Azione Nazionalista basca: uno strumento dell'Eta che la magistratura aveva delegalizzato e interdetto. I Popolari chiedono che il governo accetti la illegittimità del partito clone dei terroristi baschi.

I diessini non possono seguire la via del partito radicale di massa che contraddice la loro storia, ma non hanno fatto propria la definizione di socialista perché vorrebbe dire ricevere la propria legittimazione dalla storia del Psi, non da quella del Pci. Il radicalismo di massa è bloccato dalla tradizione comunista che ha sempre cercato l'intesa con la Chiesa cattolica. Non a caso il tentativo dei diessini di sciogliere il loro partito è una fusione con i postdemocristiani. Per questo il Partito Democratico nasce legato a un governo e al suo presidente del Consiglio come unico contenuto; nasce come partito che non dispone di una propria motivazione e non può dare al governo il linguaggio di una «missione». E anche il maestro di parole, Fausto Bertinotti, si trova senza linguaggio, perché il suo sforzo di portare l'antagonismo al governo lo ha condotto ad abbandonare la protesta sociale che lo legittimava e a cercare il suo spazio in quella tradizione socialista moderata che i Ds abbandonano. Che cosa sia la sinistra italiana oggi, di là dal governo Prodi, non si può dire, ma certo è difficile che la sinistra possa parlare solo con il linguaggio di Padoa-Schioppa.

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