martedì 15 maggio 2007

Berlusconi e il processo Sme. Le motivazioni dell'assoluzione dell'ex premier

Berlusconi e il processo Sme. In esclusiva su Affari le motivazioni dell'assoluzione dell'ex premier

Tratto da http://canali.libero.it/affaritaliani/upload/SE/0006/SENT.BERLUSCONI.pdf


7. Sul merito della imputazione di cui al capo A).
Va ora presa in esame la ipotesi di reato attribuita a Berlusconi nel capo A) della rubrica.
Il delitto contestato dall’accusa è di corruzione attiva, propria, antecedente, continuata, protrattasi dal 1986 al 7 marzo del 1991, che Berlusconi, in concorso con Pacifico e Previti (giudicati in procedimento separato), e per conto del gruppo Fininvest, avrebbe posto in essere attraverso (la promessa e) il versamento di ingenti somme di denaro (secondo la struttura a duplice schema del reato) a Renato Squillante, nella sua qualità di “Consigliere istruttore aggiunto”, prima, e di “Presidente della Sezione GIP del Tribunale di Roma”, poi, “affinché” questi “compisse una serie di atti contrari ai doveri d’ufficio”, in particolare asservendo ai loro interessi i doveri della funzione giudiziaria in tutti i procedimenti ed in ogni altra attività della quale fosse richiesto”, violando “segreti di ufficio” e “il dovere di riservatezza, “fornendo le informazioni a lui richieste” e intervenendo su altri magistrati per indurli a compiere atti contrari ai doveri del loro ufficio.
A seguito della contestazione suppletiva, la imputazione è stata ulteriormente precisata con la indicazione completa delle concrete modalità della condotta del corruttore, costituite: a) da continuative erogazioni di denaro contante (in pratica le dazioni riferite dalla teste Ariosto); b) dal bonifico di Lire 100 milioni (estero su estero) che Pacifico avrebbe fatto pervenire a Squillante il 29.7.88, utilizzando parte della somma di lire 1 miliardo che l’industriale Pietro Barilla aveva versato a Pacifico (estero su estero) in data 26.7.88 (c.d. bonifico Barilla); c) dal versamento della somma di 434.407,87 dollari USA (pari a 500 milioni di lire) che il 6.3.91 Previti effettuò, tramite bonifico (estero su estero) a favore di Squillante, dopo averla ricevuta nella stessa giornata da un conto alimentato con disponibilità extracontabili di Fininvest (c.d. bonifico orologio).
Nella sentenza di primo grado si pone una premessa di carattere generale, sulla quale si rende opportuna una immediata riflessione per la migliore comprensione delle tematiche giuridiche coinvolte nella fattispecie in esame.
Si afferma, con corredo di pertinenti riferimenti giurisprudenziali, che per la configurazione del reato di corruzione si può prescindere dalla concreta individuazione dell’atto o degli atti realizzati o concordati dal pubblico ufficiale con il corruttore, allorché dalla valutazione complessiva della condotta tenuta dall’agente pubblico emerga il perseguimento di finalità “deviate”, diverse cioè da quelle di pubblica utilità, in ragione dell’asservimento della funzione agli interessi privati.
Si invoca quindi quell’orientamento interpretativo che, con maggiore aderenza alla ratio rispetto alla lettera della legge (che all’art.319 c.p. richiama il compimento ovvero l’omissione o il ritardo di “atti” dell’ufficio, e che all’art.319 ter c.p. collega a tali comportamenti allo scopo di favorire o danneggiare una parte in un processo giudiziario), ravvisa la fattispecie criminosa non solo nel mercimonio di doveri dell’ufficio in relazione ad atti squisitamente formali, ma anche in riferimento alla sistematica abdicazione delle finalità legali della funzione svolta (v. Cass.16.4.1996, n.1616; Cass.,16.10.98 n.10786; Cass.,6.3.98, n.2894; Cass.,25.3.99 n.3945; Cass., 26.1.2004 n.2622).
Ciò implicherebbe, secondo l’opinione del Tribunale, che, non essendo necessario individuare il singolo atto oggetto di illecito scambio, la remunerazione del pubblico ufficiale possa rivestire connotazioni corruttive anche in presenza di un suo comportamento di favore, purchè attinente alla sua generica competenza o comunque alla sfera di intervento del medesimo, coprendo così anche il c.d. traffico di influenza previsto dalla Convenzione ONU di Merida del 9-10 dicembre 2003 (ma non ancora recepita nel nostro ordinamento), il cui art.18 intende colpire l’abuso di posizione del pubblico ufficiale in funzione del corretto e trasparente esercizio della pubblica funzione.
La verifica preliminare del principio così affermato è di capitale importanza poiché nel caso in esame, a parte lo specifico collegamento del bonifico Barilla con la vicenda del processo SME, contemplata però nel capo B) e che non a caso ha formato oggetto di complessa impugnazione da parte della s.p.a. C.I.R., manca già a livello di contestazione il riferimento puntuale ad atti, omissioni o ritardi ascrivibili al soggetto corrotto (il giudice Squillante).
Ne segue che, salvo appunto l’episodio del bonifico Barilla del 26.7.88 (sul quale si tornerà tra poco), la costruzione dell’accusa, recepita in linea teorica dal Tribunale, si fonda sul convincimento che Squillante sarebbe stato un giudice “a libro paga”, il quale avrebbe venduto la sua funzione agli interessi dell’odierno imputato verso il corrispettivo di una continuativa erogazione di denaro. E tale asservimento, benché non sostenuto dalla superflua e concreta individuazione degli atti illeciti, o dei segreti di ufficio o notizie riservate ad altri rivelate, o più in generale degli interventi operati su altri magistrati (ancorché ignoti) o dei comportamenti volti ad alterare o fare alterare il naturale esito di processi giudiziari, sarebbe sufficiente, se provato, alla configurazione del reato contestato al capo A).
Sui termini della questione che qui interessa è recentemente intervenuta la Corte regolatrice con fondamentali puntualizzazioni che questo Collegio interamente condivide (trattasi di Cass.,4.5.2006 n.33435, nel processo IMISIR).
Il giudice di legittimità, enunciando la esatta interpretazione della norma che disciplina la corruzione in atti giudiziari (passiva per Squillante), dopo avere rammentato che il delitto appartiene alla categoria dei reati propri funzionali, in linea con la stessa nozione di pubblico ufficiale delineata dall’art.357 c.p., ha osservato che proprio l’opportuno affermarsi della concezione oggettiva legata al concreto esercizio della pubblica funzione, la quale implica l’abbandono di un criterio soggettivo e formalistico, permette di qualificare l’atto di ufficio in senso ampio, comprensivo cioè del comportamento materiale, a condizione però che esso sia “esplicazione dei poteri doveri inerenti alla funzione concretamente esercitata”, postulandosi dunque “la necessità di una congruità tra il comportamento stesso, oggetto dell’accordo illecito, e la posizione istituzionale del soggetto pubblico contraente”.
Se è vero perciò che, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, è sufficiente ai fini della consumazione del reato una competenza generica dell’agente che gli consenta di interferire o influire sulla emanazione dell’atto, è anche vero che essa, come ha ulteriormente chiarito la Cassazione nella pronuncia ora citata, “deve derivargli dall’appartenenza all’ufficio pubblico e trovare concreta operatività soltanto nell’ambito di esso, dove egli ha la effettiva possibilità di adottare direttamente l’atto ovvero di condizionare le determinazioni di altri appartenenti al medesimo ufficio”.
Da qui la conseguenza che, se non si vuole scardinare il principio di tassatività delle fattispecie incriminatrici, la sufficienza del collegamento del pactum sceleris con un “genus” di atti individuabili, o addirittura la prospettazione della forma più subdola del mercimonio concretatesi nell’asservimento più o meno sistematico della funzione pubblica agli interessi del privato corruttore, qual è quella c.d. del “giudice a libro paga”, nella quale si determina un permanente condizionamento dell’attività istituzionale del p.u., in tanto può essere affermata in quanto sussista il dato imprescindibile della riferibilità della condotta alle competenze del pubblico ufficiale o alla sfera di influenza dell’ufficio al quale egli appartiene, quale requisito minimo necessario per ricondurla nell’ambito tipico della fattispecie normativa.
Ciò significa, per utilizzare le lapidarie parole del giudice di legittimità, che deve “escludersi il reato di corruzione passiva nel caso in cui il pubblico ufficiale prometta o ponga eventualmente in essere il suo intervento prezzolato, avvalendosi della sua qualità, dell’autorevolezza e del prestigio che gli derivano dalla carica ricoperta, senza che detto intervento comporti l’attivazione di poteri istituzionali propri del suo ufficio o sia in qualche maniera a questi collegabile, ma sia destinato – in tesi – ad incidere nella sfera di attribuzione di pubblici ufficiali terzi, rispetto ai quali il soggetto agente è assolutamente carente di potere funzionale”.
Applicando questi insegnamenti al caso di specie, deve dedursene che, per affermare che Berlusconi abbia corrotto il giudice Squillante, asservendolo ai propri interessi in un periodo in cui svolgeva le funzioni di Consigliere aggiunto o di Presidente dell’Ufficio GIP del Tribunale di Roma, non è sufficiente provare che quest’ultimo abbia ricevuto remunerazioni più o meno continuative di denaro, in virtù di accordi civilisticamente privi di causa lecita (artt.1322 cpv. e 1343 c.c.), ma occorre anche accertare, sia pure in via indiziaria, che l’interferenza addebitata al magistrato sia stata collegata con l’attività funzionale da lui esplicata, giacchè solo in tale eventualità è ravvisabile la vendita della pubblica funzione riducibile alla competenza quantomeno generica del pubblico ufficiale.
In caso contrario, nel caso cioè che le erogazioni di denaro siano state effettuate da Berlusconi, direttamente o tramite terzi, affinché Squillante intervenisse, direttamente o attraverso intermediari, per condizionare l’operato di altri magistrati estranei all’ufficio di appartenenza, non sarebbe configurabile la vendita della funzione, ma la diversa ipotesi del traffico di influenza, ipotesi che non solo non è stata tradotta in norma di legge ma, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, non può considerarsi penalmente perseguibile neppure alla luce della più estensiva interpretazione della giurisprudenza in tema di corruzione (passiva) in atti giudiziari. Essa, invero, può assumere rilevanza penale se la intermediazione retribuita del magistrato per il suo intervento presso terzi consenta di ravvisarvi la diversa fattispecie di reato di (concorso in) corruzione attiva oppure di istigazione alla corruzione o di millantato credito. Ma questa eventualità è sicuramente estranea alla costruzione dell’accusa qui formulata e comunque, per quanto si dirà più avanti, mancano appigli concreti per configurarla se non in riferimento al bonifico Barilla, per il quale potrebbe astrattamente ipotizzarsi che Squillante abbia ricevuto il versamento per pagare o promettere di pagare una tangente ai magistrati civili (in particolare a Verde) coinvolti nella decisione sulla controversia tra Buitoni e IRI (vicenda SME).
Fatte queste premesse utili per l’esatto inquadramento giuridico della fattispecie, che viene necessariamente a scontare una correzione concettuale degli enunciati preliminari della impugnata sentenza, va svolto un breve resoconto del materiale probatorio acquisito al giudizio.
Il Tribunale ha in primo luogo valutato le dichiarazioni della teste Ariosto (assistita ex art.197 bis c.p.p.), dalle quali ha preso avvio nel 1995 la presente vicenda processuale in riferimento a episodi avvenuti tra il 1986 e il marzo del 1991.
Costei ha riferito alcuni fatti per averli appresi da Previti o da terzi ed altri per scienza diretta.
I fatti riferiti “de relato” in primo luogo attengono alla esistenza di un gruppo di magistrati romani “a libro paga”, che avevano come punto di riferimento Squillante, il quale fungeva da collettore di tangenti versate da Previti e Pacifico servendosi di fondi illimitati appositamente costituiti da Finivest presso Efibanca.
I fatti direttamente percepiti dalla teste riguardano essenzialmente due dazioni di denaro contante effettuate tra il 1986 e il 1988 da Previti a Squillante, una volta nella casa di Previti in via Cicerone a Roma e un’altra presso il Circolo Canottieri della stessa città.
La scrupolosa indagine svolta, come la stessa pubblica accusa riconosce, non ha consentito di accertare, ed anzi ha escluso la esistenza del fondo occulto presso Efibanca. Ciò non significa che, per ciò solo, l’ Ariosto debba ritenersi inattendibile, come assume la Difesa dell’imputato, giacchè, trattandosi di dichiarazioni de relato, l’attendibilità del teste si misura con il metro della esistenza oggettiva della confidenza e non certo con la verità della circostanza oggetto della confidenza stessa, come la pubblica accusa ha esattamente rimarcato.
Tuttavia è evidente che l’accertamento negativo del fondo occulto presso Efibanca, che il Tribunale ha ampiamente motivato, priva di qualsiasi valore probatorio, rispetto all’imputato, il fatto oggetto della asserita confidenza, la quale non può comunque meritare crismi di certezza solo perché Previti, attivandosi presso Efibanca per favorire una richiesta di finanziamento dell’Ariosto, peraltro non accolta, avesse mostrato rapporti di grande familiarità con i vertici dell’istituto (Bestini, Ciancimino, Lai e Nardi), anche in virtù della gestione di parte dei loro risparmi personali che egli, come è
pacifico, curava illecitamente all’estero; e tantomeno la verità del fatto rivelato può desumersi dalla mera propalazione che di quella rivelazione l’Ariosto fece a terzi (Casoli e Dotti) in tempi non sospetti, senza che i destinatari, per quanto appartenenti allo stesso ambiente e legati da intensi rapporti personali con l’Ariosto, avessero al riguardo fornito conferme (se non quella, generica e incontrollata, che Previti fosse, secondo la vox populi, un avvocato chiacchierato per l’intreccio di amicizie con noti magistrati della capitale).
La teste Ariosto ha altresì dichiarato che Previti le aveva confidato nel 1987 di avere costituito una lobby di magistrati con lo scopo di favorire le vittorie giudiziarie di Fininvest.
L’indagine non ha consentito di confermare la verità del fatto, che comunque sarebbe stato confidato in termini assai generici e in funzione di un obiettivo poco credibile, e cioè al fine di “agganciare”, tramite l’Ariosto, il giudice Casoli che in realtà Previti conosceva da tempo e che, anche per contiguità politiche (essendo di area socialista), non avrebbe avuto alcuna difficoltà ad avvicinare personalmente.
Sta di fatto che di tutti i magistrati che la teste aveva indicato come appartenenti alla lobby il solo Squillante risulta imputato per corruzione.
Vi sono peraltro alcune circostanze, accertate o verosimili, che inducono a ritenere che diversi magistrati romani coltivassero relazioni più o meno “pericolose” con Previti: da chi ne frequentava la casa in occasione di vittorie giudiziarie della Fininvest a chi partecipava a un viaggio organizzato dalla fondazione Niaf per una cerimonia in onore di Craxi negli Stati Uniti, accettando, consapevolmente o per non meno disdicevole trascuratezza, che le spese della costosa trasferta e della permanenza all’estero fossero sopportate da Previti; a chi addirittura affidava a Previti, con la collaborazione dell’avv.Pacifico, la gestione all’estero dei propri risparmi personali in violazione delle norme vigenti sul divieto di esportazione dei capitali.
E’ però evidente che il tessuto amicale con un professionista chiacchierato, e in taluni casi una illecita commistione di interessi economici, ridondano solo sul piano deontologico del comportamento dei magistrati coinvolti e, laddove abbiano superato la soglia della liceità penale, non integrano comunque ipotesi corruttive.
Sotto tale profilo, la deposizione dell’Ariosto assume piuttosto il valore di una descrizione di ambiente romano, di uno scenario di scadente livello etico idoneo ad alimentare turpi scambi di favori o semplici condizionamenti psicologici, ma che, per ciò solo, non ne rivela la esistenza, convalidando semmai il generico sospetto che Previti fosse un professionista intento a coltivare rapporti di amicizia con magistrati influenti in vista di positive ricadute sull’esercizio della sua attività professionale e che a tal fine fosse anche propenso a pratiche corruttive, come altri procedimenti hanno dimostrato.
Quel che è certo è che nessun serio indizio può trarsene a carico di Berlusconi in ordine al reato a lui contestato nel capo A), a meno di non ritenere che tra lui e Previti, che certo era l’avvocato di affari di Fininvest, si sia attuato un inedito procedimento di fusione identitaria, dando luogo a un nuovo e complesso soggetto di diritto derogativo del principio di personalità della responsabilità penale.
Proprio la ineludibile distinzione giuridica delle posizioni dei personaggi comporta l’irrilevanza rispetto a Berlusconi di altre vicende narrate dall’Ariosto, dalle quali possono trarsi elementi di giudizio sulla propensione corruttiva di Previti: il suggerimento che costui le avrebbe dato (“fai come me, portagli una borsa di soldi”) sul modo migliore per ottenere tramite l’assessore Ricotti, sollecitato da Craxi, il rilascio, poi non ottenuto, delle necessarie concessioni amministrative per la edificazione di campi da golf, cui essa aspirava; ovvero l’acquisto da parte di Previti presso la gioielleria Eleuteri di una costosa collana di zaffiri, che questi avrebbe confidato essere destinata alla moglie di un magistrato (ma che poi è risultata oggetto di un regalo fatto dallo stesso Previti alla moglie).
Quanto poi al fatto ulteriore che l’Ariosto avrebbe appreso dagli fratelli Eleuteri, titolari della nota goielleria, che Berlusconi e Previti acquistavano gioielli per le mogli di numerosi magistrati romani, va osservato, in linea con il Tribunale, che si tratta di dichiarazione de relato, priva di riscontri e del tutto generica, non avendo la teste individuato i nomi dei magistrati sui pacchetti regalo riconosciuti in casa Berlusconi come provenienti dalla gioielleria Eleuteri. In ogni caso, ammesso in ipotesi che quei regali costituissero omaggi natalizi destinati a mogli di magistrati, ciò non basterebbe per dedurne che uno di essi fosse stato acquistato proprio per la moglie di Squillante né che il regalo, per quanto eccedente i limiti delle liberalità d’uso, avesse una funzione corruttiva riconducibile al reato contestato.
Del tutto estranei all’odierno imputato e comunque privi di valenza probatoria risultano infine gli altri episodi riferiti, de relato o per scienza diretta dall’Ariosto.
Per quanto riguarda la vicenda del bar di via Condotti, vale a dire la consegna di una busta che, in prossimità delle festività natalizie del 1988, un dipendente di Publitalia avrebbe fatto a un parlamentare e che la teste Ariosto avrebbe casualmente osservato seduta a un tavolo del caffè Greco, ricavando a distanza l’impressione che fosse piena di soldi, non v’è prova certa sul contenuto della busta e tantomeno delle finalità della consegna, mentre è rimasto privo di qualsiasi conferma il fatto, dichiarato de relato dalla teste, che quel dipendente (Bebo Martinotti) svolgesse addirittura il ruolo di corriere del denaro destinato a corrompere i giudici della prima sezione civile della Cassazione nell’interesse di Previti.
Così esaurita sul piano della specifica irrilevanza la valutazione degli elementi di contorno riferiti prevalentemente de relato dalla teste Ariosto, e che giustamente il Tribunale ha analizzato singolarmente per verificare l’eventuale valore indiziario di ciascuno di essi, rimangono da esaminare le altre circostanze riferite per scienza diretta dalla teste, e cioè le due dazioni di denaro fatte da Previti a Squillante, l’una nella casa di via Cicerone n.60 a Roma e l’altra presso il Circolo Canottieri della stessa città.
Il Tribunale ha al riguardo svolto un’ accurata disamina della deposizione, traendone il convincimento della sua particolare inattendibilità per ragioni che attengono a lacune, confusioni, incompletezze e contraddizioni della deposizione.
I pubblici ministeri territoriali hanno sottoposto a dura critica il metodo di valutazione del primo giudice, asseritamente responsabile di avere sopravalutato comprensibili incertezze e difficoltà mnemoniche su aspetti marginali dei reali accadimenti (ad es. la descrizione dell’arredo della casa di Previti o della conformazione del Circolo Canottieri), riferiti a distanza di circa sette otto anni, con il naturale rischio di dispersione del ricordo su elementi di contorno, o di sovrapposizioni inconsapevoli tra la rievocazione di fatti depositati nell’archivio della mente e la loro rielaborazione valutativa, a fronte della costanza della narrazione sul nucleo centrale degli episodi, taluni dei quali (invero anch’essi marginali) indirettamente supportati da appunti scritti dall’Ariosto sulla propria agenda in epoca non sospetta (e peraltro non immuni a loro volta da vistose imprecisioni).
Questa Corte reputa invece che le dazioni di cui si tratta non possano rivestire valore probatorio nel presente processo per ragioni diverse e più radicali.
Esistono indubbi difetti della descrizione narrativa e una chiara incoerenza della deposizione dell’Ariosto rispetto ad altre testimonianze di persone a vario titolo interessate a contrastarla E deve convenirsi che la narrazione dell’Ariosto (la cui personale credibilità non appare però seriamente discutibile in mancanza di prove di asserite irregolarità nell’assunzione probatoria e in considerazione dell’autentica motivazione alla rivelazione di fatti, ma anche di valutazioni, su un mondo che, sia pure per motivi di personale risentimento, ormai disprezzava e intendeva ripudiare) suscita ovvie perplessità laddove accredita la tesi, deviante rispetto alle massime di esperienza, che persone accorte e professionalmente qualificate come Previti e Squillante si spartissero mazzette di denaro coram populo, ovvero che la moglie di Previti, incaricata di custodire una busta, non sigillata, piena di soldi destinata a Squillante, l’affidasse temporaneamente all’Ariosto confidandole senza necessità alcuna che il denaro ivi contenuto era il prezzo della corruzione che il marito riservava al magistrato: insomma una ostentazione sfrontata e spudorata quanto imprudente del potere di dominio economico esercitato da ricchi privati su magistrati della Repubblica.
Tuttavia un’ approfondita verifica dell’attendibilità della testimonianza, attraverso i necessari riscontri esterni (ex art.192 comma 3 c.p.p.) sul nucleo centrale dei due episodi, si rende del tutto superflua in questo giudizio, giacchè quelle dazioni di denaro, anche se confermate, sarebbero pur sempre riferibili al solo Previti, senza alcun elemento utile per ricondurle a Berlusconi al di là del generico sospetto alimentato dal loro legame di amicizia, e di interessi.
Ed allora, esclusa nel caso di specie qualsiasi rilevanza alla deposizione dell’Ariosto, se non in relazione a una persuasiva descrizione di ambiente al quale Berlusconi non era estraneo, se non altro per i suoi stretti rapporti personali con Previti e il ruolo egemone da questi svolto nella cura degli affari del gruppo Fininvest, si tratta di vedere quale valore probatorio possa attribuirsi, nell’ambito del reato di corruzione di cui al capo A), ai due bonifici ivi contemplati.
Nessuna importanza, ad avviso del Collegio, può annettersi al bonifico Barilla del 26.7.88 che nella prospettazione dell’accusa aveva il fine di condizionare l’esito della vicenda SME in danno della Buitoni e in vista delle mire di acquisizione della cordata IAR, di cui Barilla faceva parte integrante.
Il Tribunale ha evidenziato che il versamento fu effettuato con finalità corruttive dall’industriale Barilla, non alieno da tecniche di seduzione tangentizia (v. teste Ambrosio), con fondi propri e in forza di un interesse personale e risalente al perseguimento dell’obiettivo negoziale, sicchè, la condivisione di quell’interesse da parte di Berlusconi e la leadership dal medesimo assunta all’interno della cordata (composta anche dall’industriale Ferrero) non sembrerebbero argomento sufficiente sul piano logico per modificare la paternità e la intenzionalità del pagamento. Pertanto, la vicenda scaturita dal bonifico Barilla, mentre integrerebbe la prova della corruttiva remunerazione di Squillante, anche in ragione delle ingenti e non giustificate disponibilità monetarie del magistrato su banche estere, non proverebbe il coinvolgimento di Berlusconi nell’illecito pagamento, poiché il suo intervento nell’iniziale conoscenza tra l’imprenditore Pietro Barilla e il legale del Gruppo Fininvest, avv. Cesare Previti, e dunque il raccordo tra Barilla e Pacifico, sconosciuto all’emittente, costituirebbe solo un motivo di sospetto, relegabile sul piano della pura illazione. La motivazione del Tribunale non è a perfetta tenuta ove si ponga attenzione al movente propulsivo che lo stesso Berlusconi, nelle spontanee dichiarazioni rese all’udienza del 5.5.03, attuò, su imperiosa sollecitazione dell’amico Craxi, per contrastare i propositi di De Benedetti e impedire l’acquisto della SME da parte della Buitoni; all’estraneità di Barilla rispetto a Pacifico e Squillante; al ruolo fondamentale esercitato da Previti nella vicenda SME come anello di collegamento tra il gruppo di imprenditori e di professionisti legali che agivano per la cordata IAR; alla comprovata erogazione di tangenti da parte di Berlusconi per perseguire fini di egoistica utilità (come presupposto logico delle sentenze dichiarative della prescrizione nei suoi confronti emesse nel procedimento c.d. All Iberian e nel processo c.d. Lodo Mondadori per ipotesi corruttive similari).
Ma la ragione per la quale il bonifico Barilla non può implicare alcuna responsabilità dell’odierno imputato è molto più radicale: dato che l’operazione sarebbe collegata alla vicenda SME, sviluppatasi e risoltasi in sede civilistica, l’ipotesi che il pagamento pervenuto a Squillante si situi nell’ambito di una continuativa corruzione di detto magistrato ad opera di Berlusconi sconta la logica premessa che la remunerazione fosse riconducibile alla vendita della sua funzione giudiziaria. Ma posto che all’epoca Squillante esercitava le sue funzioni presso l’Ufficio GIP del Tribunale di Roma, non è chi non veda che il nesso sinallagmatico con il pagamento potrebbe ravvisarsi unicamente rispetto a possibili iniziative avulse dalla sua funzione giudiziaria, concretando dunque una condotta rivolta verso l’esterno che, per le ragioni illustrate, assumerebbe i connotati del traffico di influenza e non rileverebbe penalmente.
In realtà, l’unica operazione bancaria logicamente riconducibile all’imputato è rappresentata dal bonifico orologio del 6.3.91 in quanto la somma di 434.000 dollari USA (pari a 500 milioni di lire) versata da Previti a Squillante proveniva da un conto estero alimentato da fondi extracontabili di pertinenza della Fininvest. Infatti, considerato che la intera somma ricevuta da Previti fu nello stesso giorno riversata sul conto di Squillante, è agevole presumere che essa fosse stata fin dall’inizio indirizzata al magistrato, utilizzando il conto di Previti come mero transito.
Questa presunzione è convalidata non solo dalla mancanza di riscontri documentali per imputare il pagamento della somma di L.500 milioni da Fininvest a Previti all’attività professionale di quest’ultimo (difettando al riguardo sia una fattura del professionista sia l’interesse della società a pagare un compenso lecito, contro la costante prassi seguita per ogni altro caso analogo, con fondi esteri extracontabili insuscettibili di deduzione fiscale), ma anche dalla inverosimiglianza della causa (lecita) addotta da Squillante e Pacifico nel procedimento IMI-SIR/Lodo Mondadori per giustificare il contestuale trasferimento della somma da Previti a Squillante. Invero la ricostruzione dei rapporti Previti- Pacifico-Squillante, prospettata da costoro nell’intento di accreditare la tesi di reciproche compensazioni attuate l’uno all’insaputa dell’altro sembra più confacente a una partita di poker nella quale i giocatori “passano” senza “vedere”, che non a operazioni contrattuali sussumibili nello schema della delegazione di pagamento attuata peraltro nella inconsapevolezza di uno dei soggetti di volta in volta implicati e nella ripetuta violazione di incarichi fiduciari.
Secondo la versione non perfettamente confezionata di costoro, Pacifico avrebbe versato all’estero l’importo a Squillante affinché costui provvedesse per suo conto a pagare l’anticipo sul prezzo di un immobile edificando in un centro golfistico di Tolcinasco dalla Società Edilnord di Paolo Berlusconi; solo che il pagamento non sarebbe stato effettuato da Pacifico a Squillante, ma da Previti (estero su estero) a Squillante su disposizione di Pacifico in quanto quest’ultimo, avendo ricevuto in deposito fiduciario in Italia dal giudice Vinci (guarda caso) la somma di lire 500 milioni in contanti per investirla su una banca estera, ed essendo stato richiesto da Previti di adoperarsi per fare rientrare in Italia la somma di 500 milioni di lire (guarda caso), aveva ben pensato di definire le rispettive posizioni utilizzando in Italia le somme di Vinci nell’interesse di Previti (all’insaputa di Vinci) e il bonifico di Previti a Squillante (all’insaputa di Previti) per rifarsi della monetizzazione in Italia dell’importo a lui richiesto da Previti e nel contempo pagare, tramite il bonifico di Previti a Squillante, l’anticipo sull’acquisto immobiliare nel Golf Club, somma che però Squillante ebbe a utilizzare immediatamente a titolo personale e che, a seguito del recesso di Pacifico dall’investimento, gli aveva restituito in data 31 ottobre 1991 attraverso due versamenti in contante, uno di 400 milioni di lire, mediante autorizzazione rilasciata a una banca svizzera a favore di “un signore che si presenterà”, e l’altro di lire 100 milioni in Italia, dopo averla ricevuta in prestito da un cognato.
Siffatta fantastica ricostruzione non ha trovato alcun riscontro probatorio ed è il frutto della difficoltosa sintesi di non coincidenti dichiarazioni rese dagli interessati, puntualmente analizzata dal Tribunale e miseramente naufragata di fronte alla assoluta mancanza di documenti attestanti l’esistenza (non solo del pagamento dell’acconto alla Edilnord e della successiva restituzione, ma soprattutto) del preliminare di compravendita o almeno di una proposta di acquisto che, come è a tutti noto, avrebbero dovuto necessariamente risultare da atto scritto (artt.1350, 1351 c.c.), al pari del successivo atto di recesso.
Così come senza adeguato riscontro documentale è rimasta la straordinaria attività professionale per la quale Previti sarebbe stato retribuito, pur tenendo conto che egli, più che occuparsi di contenziosi giudiziari, era un avvocato di affari impegnato anche e soprattutto all’estero.
Per le fondamentali considerazioni qui enunciate, integrate da tutte le altre puntuali osservazioni che al riguardo sono state svolte dal Tribunale, il bonifico orologio può reputarsi un indizio di rilevante significatività a sostegno della tesi dell’accusa. Il quale viene in qualche modo corroborato, nonostante il diritto di mentire dell’imputato, dalla macroscopica inverosimiglianza della suesposta tesi difensiva, compresa l’asserzione che Berlusconi fosse del tutto all’oscuro dei pagamenti esteri compiuti dai suoi dipendenti e soprattutto che costoro avessero mano libera per movimentazioni bancarie sicuramente illecite (se non altro perché effettuate in nero su conti esteri).
E poiché l’apparente destinatario finale, ma in realtà immediato, del pagamento sembrerebbe proprio il giudice Squillante, considerata la propensione di Previti a pratiche corruttive nei confronti di magistrati, come è emerso nel procedimento IMI-SIR (v. la più volte citata sentenza di Cass., 4.5.06 n.33435), e la presumibile illiceità dell’arricchimento del giudice, è ragionevole la deduzione che quel versamento, con fondi Fininvest, avesse funzione corruttiva. Dal che, anche in mancanza di accertamento di singoli atti illeciti o comportamenti antidoverosi di Squillante, il cui ingente patrimonio accumulato all’estero in misura incompatibile con il reddito di un magistrato ex se loquitur, dovrebbe ricavarsi l’ulteriore corollario che quest’ultimo era un giudice a libro paga di Berlusconi.
La inferenza logica, sostenuta dallo sfondo ambientale di diffusa immoralità descritto dalla teste Ariosto, si scontra però con una prima ragionevole obiezione: perché mai un imprenditore avveduto come Berlusconi, dotato di immense disponibilità finanziarie, avrebbe dovuto effettuare (o meglio far effettuare) un pagamento corruttivo attraverso una modalità (bonifico bancario) destinata a lasciare traccia, anziché con denaro contante? E per quale ragione il pagamento avrebbe dovuto essere eseguito attraverso il transito sul conto di Previti anziché direttamente al destinatario? Si tratta di obiezioni probabilmente superabili con il rilievo che il pagamento estero su estero sarebbe stato voluto dai protagonisti confidando nella segretezza dell’operazione per le intuibili difficoltà opponibili ed effettivamente frapposte alle acquisizioni documentali in via rogatoriale, e con la considerazione che il doppio passaggio bancario da Finivest a Previti e da Previti a Squillante sarebbe servito meglio allo scopo di simulare il pagamento di una parcella al professionista. I quesiti e le perplessità, dunque, non elidono la forza degli elementi indiziari favorevoli all’accusa, anche se in qualche misura li mettono in discussione una volta che lo stesso risultato pratico sarebbe stato perseguibile più prudentemente con versamenti, sia pure all’estero, per contanti.
Ma, a parere della Corte, il dato logico più rilevante per controbilanciare la prova a carico è costituito dal fatto, assolutamente incontroverso (e tuttavia ignorato dagli appellanti pubblici ministeri territoriali), che nel periodo in contestazione (tra il 1986 e il 6 marzo del 1991) nessun procedimento approdato all’Ufficio GIP del Tribunale di Roma, ove Squillante avrebbe effettivamente potuto influire direttamente o indirettamente, ha rivelato aspetti irregolari o discutibili, risultando al contrario che in quei pochi casi in cui poteva profilarsi un interesse personale di Berlusconi o di società del gruppo Fininvest, i giudici titolari dei procedimenti, decisero correttamente in conformità alle richieste della pubblica accusa o, “mostrandosi più realisti del re”, assunsero iniziative, contro le richieste del P.M., ma in senso sfavorevole agli interessi dell’odierno imputato, subendo poi esiti finali per questo pienamente favorevoli.
In particolare: nel proc.n.134617/88 R.G. a carico di Paolo Berlusconi, quale rappresentante legale della società Edilnord, per violazione dell’art.2 della legge n.516/82 (a causa del ritardo di sei giorni nel versamento di ritenute di acconto) la Procura della Repubblica di Roma chiese l’archiviazione non ravvisando, per la esiguità del ritardo, l’elemento soggettivo del reato e Squillante emise un provvedimento conforme alla richiesta solo alcuni mesi dopo. Nel proc. N.15276/90 R.G. a carico di Mike Buongiorno, Gianfranco D’Angelo e Paolo Berlusconi, ritenuto erroneamente responsabile di Canale 5, indagati per diffamazione, il P.M. chiese l’archiviazione per tutti e tre, ma il GIP (Trivellini) fissò la camera di consiglio ex art.409 comma 2 c.p.p. per il solo Paolo Berlusconi, archiviando il procedimento per gli altri due. Appurato poi che Paolo Berlusconi non era il responsabile del palinsesto di Canale 5, altro GIP (Rotundo) dispose l’archiviazione nei suoi confronti ma, subito dopo e per lo stesso fatto, rinviò a giudizio Giorgio Gori, che in dibattimento fu assolto senza che la pronuncia fosse impugnata dalla pubblica accusa.
Come dire che un giudice a libro paga nulla fa, né direttamente né indirettamente, per favorire il suo corruttore nell’unica occasione in cui concretamente può rendergli un servizio utile riconducibile alla propria funzione.
Quanto poi al c.d. procedimento n.104938/81, che coinvolgeva lo stesso Silvio Berlusconi e che fu definito nel 1985 senza che dai pubblici ministeri territoriali sia stata prospettata alcuna irregolarità, non mette conto neppure parlarne, essendo caduto in periodo estraneo al capo di imputazione. Per altro verso non può omettersi di sottolineare che eventuali moventi corruttivi di Berlusconi e del gruppo Fininvest avrebbero dovuto essere piuttosto collegati a controversie di natura civilistica, a presidio degli interessi coinvolti nell’oggetto tipico del gruppo societario, dimodochè non si vede per quale ragione, stante la capillare rete di conoscenze con giudici addetti anche a quel
settore, l’imputato avrebbe dovuto corrompere un magistrato che vi era estraneo.
Questo complesso di elementi indiziari, tra loro contrastanti, non permettono di sostenere la incrollabile convinzione della Corte che Silvio Berlusconi, al di là di ogni ragionevole dubbio (come esige l’art.533 c.p.p. significativamente novellato con la recezione della formula “bard” di derivazione americana: beyond any reasonable doubt), sia colpevole del reato a lui contestato nel capo A), per cui, indipendentemente dalla ben diversa consistenza che le prove a carico possono assumere nei confronti di terzi estranei a questo giudizio, l’imputato deve essere mandato assolto, ai sensi dell’art.530, comma 2, c.p.p., per non avere commesso il fatto.
Il che, evidentemente, assorbe l’esame di tutte le questioni subordinate agitate nel processo in ordine alla maturazione della prescrizione ordinaria, alla meritevolezza delle attenuanti generiche e alla legittimità costituzionale dell’art.10 della legge 5.12.2005 n.251, ecc.

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